giovedì 5 febbraio 2015

BORNOUT: quando il fuoco brucia


 

Il burnout (in italiano “bruciato”, “scoppiato”, “esaurito”, ) è generalmente definito come una sindrome di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione e derealizzazione personale, che può manifestarsi in tutte quelle professioni con implicazioni relazionali molto accentuate.

La prima volta che si è utilizzato questo termine è stato nel 1930, per indicare l’incapacità di un atleta di ottenere continui successi.

E’ stato poi ripreso nel 1975 dalla psichiatra americana C. Maslach, la quale evidenziava nel burnout una patologia comportamentale a carico di tutte le professioni ad elevata implicazione relazionale (infermieri, psicologici, … “helper”). In seguito però sono state comprese anche altre  categorie di lavoratori, professionisti o lavoratori che hanno un contatto frequente con molte persone.

Le cause che possono portare al born-out sono molte e differenti: elevato stress lavorativo, mancanza di gratificazione morale ed economica, crollo del senso di appartenenza, scarsa equità nella distribuzione dei carichi, ecc.

Si passa sostanzialmente da tre fasi:

1.      Svalutazione: l’immagine lavorativa idealizzata viene a cadere e con essa alcune sicurezze personali

2.      Frustrazione: ci si sente incapaci, sottovalutati, emerge la sensazione di essere nel posto o nel ruolo sbagliato; comincia un serio distacco emotivo

3.      Apatia: qualsiasi cosa si faccia appare insignificante, si perde la fiducia nelle proprie capacità e in sé stessi.

Gli effetti prima o poi si ripercuotono anche sulla sfera privata / affettiva del lavoratore.

Sicuramente bisognerebbe cercare di dividere la vita dal lavoro, svagarsi nel tempo libero, stare insieme a persone con cui si ha un buon rapporto, focalizzare i propri obiettivi, … ma sappiamo quanto questo non sia facile nella quotidianità, quando l’azione individuale è sempre spostata sull’efficienza, organizzazione, velocità, proiezione al futuro.

Penso che le aziende o chiunque presti lavoro, abbiano il dovere morale di incentivare il personale, di creare un buon clima lavorativo, di distribuire equamente i carichi, di mettere a disposizione una psicologa almeno per dei colloqui iniziali. Un aumento di produttività non deve collimare con una diminuzione di autostima nei lavoratori. Il declino della vita personale è un prezzo troppo alto da pagare!

Sinceramente non conosco persone che non vogliano lavorare, piuttosto ci sono tante persone fragili, che devono pagare il mutuo, che hanno responsabilità familiari già di loro pressanti e che rischiano di “farsi bruciare vive”, di annullarsi, senza avere la forza di reagire o di chiedere aiuto.

Ed ogni persona che anche solo comincia a sentirsi “scottato”, ne deve parlare, deve cercare aiuto, perché restare in silenzio non risolve niente, bisogna ricordarsi di rispettare la propria vita e la sopravvivenza è un istinto primordiale che ha aiutato l’uomo ad arrivare fino a qua.

La vita va difesa, sempre, partendo dalla propria!

 

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