Colpisce la storia di Aloïse Corbaz: innamorata di Kaiser Gugliemo II, sopraffatta dalla schizofrenia, è stata internata in un manicomio e lì ha trascorso la sua vita fino alla fine.
Il mondo esterno in cui aveva vissuto era andato in pezzi, costretta all’isolamento dalla società, ha trovato in sé la forza per far vivere il suo mondo interno.
Nelle opere di Aloïse troviamo re, regine, principi e principesse, fiori, … una continua rappresentazione di storie d’amore. Spesso creava la notte, nel silenzio, nei bagni, su carte furtivamente raccolte, talvolta unite con ago e filo. Una storia romantica e tragica allo stesso tempo.
I colori forti, la femminilità sempre e ovunque rappresentata. Lei credeva in un sogno e solo rappresentandolo poteva farlo esistere, a dispetto di tutto e tutti, a dispetto dei medici e delle convenzioni sociali.
Possiamo chiamare follia quell’istinto primordiale di sopravvivere a tutto, alle proprie sciagure, a sentire che si può “morire fuori ma non dentro”?
Io penso che sia una grande testimonianza che al di là delle “patologie”, l’arte, intesa come libera espressione di se stessi, possa aiutare chiunque a tenere ben stretti i propri sogni e a farli librare nell’aria.
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