mercoledì 14 gennaio 2015

Pensieri con Beuys

"Ogni Uomo è un’artista” per il fatto che è un uomo (arte antropologica di Beuys: l’uomo si orienta verso la luce del pensare).


Beuys ha piena fiducia nell’uomo e nel suo pensiero. Afferma che i pensieri sono come le sculture, sono forme. Questi pensieri possono essere plasmati, in modo sempre più artistico. Gli ingredienti essenziali sono il calore, l’entusiasmo per ciò che fa.
Beuys usa materiali comuni, semplici, che comunicano calore (feltro, margarina, grasso,…). Sconcerta, sbalordisce la sua semplicità, così vera così pura!
Nella vita di tutti i giorni vi è un arricchimento all’eccesso, distrazione dall’essenza, mentre lui dà valore a ciò che ne ha e toglie quel di più che appesantisce, che distoglie lo sguardo.
Per Beuys tutto è arte: la vita, la politica, l’economia, la società, la cultura. E’ l’uomo l’artefice, in quanto pensante.
Dopo aver parlato dell’individualità dell’uomo, nel libro “La rivoluzione siamo noi” porta l’attenzione sulla parte interiore dell’uomo. Per conoscere noi stessi dobbiamo guardare tutto ciò che ci circonda, il mondo fuori è il nostro mondo dentro e solo conoscendolo possiamo mettere in atto una trasformazione.
Beuys vede nella natura un modello sociale, dove non vi è una lotta per la sopravvivenza, ma una cooperazione tra gli elementi. Torniamo all’essenziale, ciò che forse diamo per scontato, ma che ha una sua concretezza e base, e funziona!                                                                                                Mi viene in mente ora alla formazione della pioggia: il liquido che evapora dagli oceani sotto forma di vapore si condensa nelle nuvole e cade a terra; l’acqua torna negli oceani attraverso il ruscellamento, i laghi, i fiumi e le falde sotterranee,... ed il ciclo è pronto a ripetersi. Uso un termine che da anni centellino, sembra tutto così “perfetto”. E questa “perfezione” non necessita di spiegazioni, forse solo di riflessione: questa condensazione, questo scambio, questo dare e avere per essere di nuovo pronti a ripartire. Questo ciclo così vitale e necessario, c’è, esiste, è terribilmente dato per scontato, ma è una delle manifestazioni della cooperazioni degli elementi.
Beuys sì era concentrato sul libro di Steiner “La filosofia della libertà”.L’arte non è solo per acculturati, elitari, l’arte è il vivere. E l’uomo può creare col proprio pensiero.
Per Beuys è importante il ruolo dell’uomo nel sociale, mentre oggigiorno l’uomo crea per consumare, ma non per costruire, per creare.
Ci vuole creatività e questa può essere impiegata in qualsiasi contesto, in qualsiasi professione. Per lui la morte non è fine, ma è necessaria per il processo di conoscenza dell’uomo.
Beuys non vuole rendere la sua arte simbolica, lui vuole che l’opera sia guardata nella sua interezza, nella sua globalità, non che sia interpretato “ciò che ci sta dietro".
Sono rimasta colpita da “La Sedia” (1964). Il grasso è calore, ed è ciò che è plasmabile (è scultura potenziale); la sedia riconduce a una base solida su cui si fonda la creatività.


Vedendo invece la foto con la lepre,  dove Beuys è un’opera, e leggendo di come si immerge nella natura, nel mondo e vivere degli animali e come usa i suoi prodotti (per esempio per lui il miele non è simbolico ma è il prodotto dalle api, le creature che incarnano l’ideale di società laboriosa di calore e fratellanza), penso alle opere di Chagall, dove anche lì troviamo quell’essenzialità, quel mondo interno legato all’esterno, quella fiducia nel futuro, l’importanza e la presenza della natura, degli animali,… E ciò mi sembra un collegamento…
Certo due artisti, diversi, ma importanti, di “radici” differenti, ma uomini. Uomini che hanno cercato attraverso l’arte di comunicare. Di fare della propria vita un’opera, qualcosa però che non ha un valore egocentrico, ma universale. Un lascito importante, un messaggio di speranza, di fiducia, un messaggio forte che mi spinge a pensare che possiamo credere nelle nostre convinzioni (autodeterminazione), plasmandole nel corso della vita, lasciando sempre uno “spazio aperto a”. (come dice Panikkar). Deve esserci un vuoto e deve esserci un’apertura. Lì troviamo la luce, lì troviamo una comprensione che non va spiegata, ma che possiamo sentire col cuore e la mente. Lì troviamo la risposta alla nostra esistenza e ciò che ci siamo, ora in questo momento, siamo vivi, respiriamo, siano noi, così terribilmente perfetti ed imperfetti allo stesso tempo, con i nostri dubbi e le nostre sicurezze, con le nostre sofferenze e le nostre gioie. Siamo noi ed a noi, alla nostra essenza dobbiamo tenerci saldi e trovando corrispondenza in nostri simili possiamo edificare un mondo nuovo, togliendo il velo che ci separa dall’essenziale, dal vero.
Elena


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