venerdì 30 ottobre 2015

Citazioni da "L'Arte di Amare", Erich Fromm


La gente non pensa che l’amore non conti. Anzi, ne ha bisogno; corre a vedere serie interminabili di film d’amore, felice o infelice, ascolta canzoni d’amore; eppure nessuno crede che ci sia qualcosa da imparare in materia d’amore. (pg 14)

Anche nella civiltà occidentale contemporanea, l’unione col gruppo è la maniera più frequente persuperare l’isolamento. È un’unione in cui l’individuo si annulla in una vasta comunità, e il suo scopo è quello di far parte del gregge. Se io sono uguale agli altri, sia nelle idee che nei costumi, non posso avere la sensazione di essere diverso. Sono salvo: salvo dal terrore dellasolitudine. (pg. 26)

In contrasto con l’unione simbiotica, l’amore maturo è unione a condizione di preservare la propria integrità, la propria individualità.L’amore è un potere attivo dell’uomo; un potere che annulla le pareti che lo separano dai suoi simili, che gli fa superare il senso di isolamento e separazione, e tuttavia gli permette di essere se stesso e di conservare la propria integrità. Sembra un paradosso, ma nell’amore due esseri diventano uno, tuttavia restano due. (pg. 32)

Se amate senza suscitare amore, vale a dire, se il vostro amore non produce amore, se attraverso l’espressione di vita di persona amante voi non diventate una persona amata, allora il vostro amore è impotente, è sfortunato. (pg. 36)

Rispetto non è timore né terrore; esso denota, nel verso senso dalla parola (respicere = guardare), la capacità di vedere una persona com’è, di conoscerne la vera individualità. Rispetto significa desiderare che l’altra persona cresca e si sviluppi per quello che è. (pg. 39)

Se posso dire a un altro “ti amo”, devo essere in grado di dire “amo tutti in te, amo il mondo attraverso te, amo in te anche me stesso”. (pg.56)

Se un individuo è capace di amare in modo produttivo, ama anche se stesso; se può amaresolo gli altri, non può amare completamente. (pg. 68)

La capacità di stare soli è la condizione prima per la capacità d’amare. (pg. 119)


Citazioni "Il codice dell'anima" di Hillman


Tutti, presto o tardi, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada. (pg. 19)

Questo libro ha per argomento la vocazione, il destino, il carattere, l’immagine innata: le cose che, insieme, sostanziano la “teoria della ghianda”, l’idea, cioè, che ciascuna persona sia portatrice di un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di poter essere vissuta. (pg. 21)

Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un’immagine o disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è unico e tipico nostro. Tuttavia, nel venire al mondo, ci dimentichiamo tutto questo e crediamo di esserci venuti vuoti. È il daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro destino. (pg. 23)

Dobbiamo prestare particolare attenzione all’infanzia, per cogliere i primi segni del daimonall’opera, per afferrare le sue intenzioni e non bloccargli la strada. Le altre conseguenze pratiche vengono da sé: a)riconoscere la vocazione come un dato fondamentale dell’esistenza umana; b)allineare la nostra vita su di essa; c)trovare il buon senso di capire che gli accidenti della vita, compresi il mal di cuore e i contraccolpi naturali che la carne porta con sé, fanno parte del disegno dell’immagine, sono necessari a esso e contribuiscono a realizzarlo. (pg. 23)

Una vocazione può essere rimandata, elusa, a tratti perduta di vista. Oppure può possederci totalmente. Non importa: alla fine verrà fuori. Il daimon non ci abbandona. (pg. 24)

Voglio che riusciamo a vedere come ciò che fanno e che patiscono i bambini abbia a che fare con la necessità di trovare un posto alla propria specifica vocazione in questo mondo. I bambini cercano di vivere due vite contemporaneamente, la vita con la quale sono nati e quella del luogo e delle persone in mezzo a cui sono nati. L’immagine di un intero destino sta tutta stipata in una minuscola ghianda, seme di una quercia enorme su esili spalle. E la sua voce che chiama è forte e insistente e altrettanto imperiosa delle voci repressive dell’ambiente. La vocazione si esprime nei capricci e nelle ostinazioni, nelle timidezze e nelle ritrosie che sembrano volgere il bambino contro il nostro mondo, mentre servono forse a proteggere il mondo che egli porta con sé e dal quale proviene. (pg. 29)

L’anima discende in quattro modi: attraverso il corpo, i genitori, il luogo, le condizioni esterne.

Per prima cosa, il corpo: discendere, cioè crescere, significa ubbidire alla legge di gravità, assecondare la curva discendente che accompagna l’invecchiamento.

Secondo, accettare di essere un membro della tua famiglia, di fare parte del tuo albero genealogico, così com’è, con i suoi rami contorti e i suoi rami marci.

Terzo, abitare in un luogo che sia adatto alla tua anima e che ti leghi a sé con doveri e usanze.

Infine, restituire, con gesti che dichiarano il tuo pieno attaccamento a questo mondo, le cose che l’ambiente ti ha dato. (pg. 87)

Ciò che serve, l’anima lo usa. Sono strabilianti, anzi, la saggezza e il senso pratico che essa dimostra nell’utilizzare accidenti e disgrazie. (pg. 258)

A questo punto, diventa straordinariamente facile comprendere la nostra vita: comunque siamo, non potevamo essere altrimenti. Niente rimpianti, niente strade sbagliate, niente veri errori. L’occhio della necessità svela che ciò che facciamo è soltanto ciò che poteva essere. (pg. 262)

Il Blu Alchemico

Fuochi blu

Il passaggio dal nero al bianco si compie talora attraverso una gamma di       altri colori, i blu più scuri in particolare, i blu dei lividi, della       sobrietà e dell’esame di coscienza puritano, i blues dello slow jazz.       Il colore dell’argento non era soltanto il bianco, ma anche il blu: Ruland       elenca 27 tipi di argento dal colore blu e Norton scrive che «l’argento si       può agevolmente trasformare nel colore della lazulite, perché… insita       nell’argento, prodotto dall’aria, è la tendenza ad assomigliarsi al colore       del cielo». È di tale forza l’associazione del blu con l’argento e con l’imbiancamento,       che persino la chimica moderna, nel discutere la testimonianza alchemica (l’originarsi       di un pigmento blu dall’argento trattato con il sale, l’aceto, eccetera),       ritiene che gli alchimisti avessero una qualche giustificazione fisica a       noi ignota, a conferma di quanto asserivano.       Ma tale asserzione non si fonda piuttosto sulla fantasia?

Sull’argento sofico di un’immaginazione imbiancata che sa       che nell’inargentarsi il blu è presente, e quindi lo vede?       La fase blu che separa il bianco dal nero assomiglia alla tristezza che       emerge dalla disperazione nel suo procedere verso la riflessione.       Riflessione che proviene da una distanza blu, o in essa anche ci       introduce, non tanto come un nostro atto di concentrazione, ma come       qualcosa che in noi si insinua quale una fredda, isolante inibizione.       Questo ritrarsi verticale assomiglia anche a uno svuotarsi, al crearsi di       una “capacità” di accoglienza, o di un ascolto profondo – già un presagio       dell’argento.       Sono queste le esperienze che Goethe associa al blu: «Il blu reca ancora       con sé un principio di oscurità… è potente, come colore, ma appartiene       alla serie negativa, e nella sua purezza più elevata è quasi una negazione       stimolante… una sorta di contraddizione tra eccitazione e riposo. Come       ci appaiono blu il cielo in alto e i monti più lontani, così una       superficie blu sembra allontanarsi da noi… ci trascina al suo seguito.       Il blu ci da un’impressione di freddo e quindi, ancora, ci fa memori       dell’ombra. Abbiamo già parlato della sua affinità col nero. Le stanze       dipinte di blu puro sembrano in qualche misura più larghe, ma al tempo       stesso vuote e fredde… gli oggetti visti attraverso un vetro blu (sono)       lugubri e melanconici». Ma la tristezza non è tutta del blu: anche un tumultuoso dissolversi della       nigredo può mostrarsi attraverso “blue movies” (film pornografici), “blue       language” (linguaggio blasfemo), nell’amour bleu, nei barbablù, nelle       “blue murder” (minacce di carneficina), e nel corpo cianotico. Quando       insorgono fantasie Animus-Anima di questo genere, perverso, pornografico,       agghiacciante o vizioso, è all’interno della transizione del blu verso       l’albedo che possiamo situarle; potremo allora cercare tracce d’argento       nella violenza, perché vi sono modi di riconoscersi che prendono forma       nell’orrore e nell’oscenità.       La putrefactio dell’anima genera una nuova coscienza animica, un       radicamento psichico che deve includere esperienze infere proprie di       Anima, le sue affinità con il perverso e la morte.       Il blu scuro del manto della Madonna genera molte ombre, e sono quelle che       le danno profondità di comprensione; proprio come la mente formata sulla       Luna è vissuta con Lilith, cosicché il suo pensiero non può mai essere       ingenuo, non può cessare mai di sprofondare verso le ombre.       Il blu protegge il bianco dall’ingenuità.       Come Jung afferma, la direzione verticale è associata al blu per       tradizione. Le antiche parole greche per il blu servivano anche a       designare il mare; in Tertulliano e in Isidoro di Siviglia il blu si       riferiva sia al mare sia al cielo, analogamente alla parola greca (bathun)       e a quella latina (altus), che implicavano l’alto e il profondo in una       sola parola.       La dimensione verticale come gerarchia persiste nel nostro linguaggio, nel       sangue blu per la nobiltà, nei nastri azzurri delle premiazioni, e in       molte immagini mitologiche di “dèi blu”: Kneph d’Egitto, le vesti blu di       Odino, Giove e Giunone, Krishna e Vishnu, Cristo nel suo ministero terreno,       come il Cristo-Uomo blu visto da Hildegard di Bingen.       Il passaggio dal nero al bianco attraverso il blu implica che il blu porti       sempre il nero con sé. (Fra i popoli africani, per esempio, il nero       include il blu, mentre nella tradizione giudaico-cristiana il blu       appartiene piuttosto al bianco). Il blu porta nell’imbiancamento tracce di       mortifìcatio. Quel che era prima la vischiosità del nero, quale catrame o       pece da cui era impossibile liberarsi, si trasforma ora nelle virtù       tradizionalmente blu della costanza e della fedeltà; gli stessi eventi       foschi appaiono diversi, e gli aspetti tormentati e sintomatici della       mortificazione – lo scorticarsi, la frantumazione di vecchie strutture, la       decapitazione di volontà caparbie, i topi e il marciume della propria       cantina personale – cedono il passo alla depressione.       Come il blu, perfino il più scuro, non è nero, così la depressione, anche       la più profonda, non è la mortifìcatio che significa morte dell’anima. La       mortifìcatio è più spinta: le immagini sono compulsivamente imprigionate       nel comportamento, la visibilità è zero, la psiche è intrappolata       nell’inerzia e nell’estendersi della materia.

Picasso, periodo blu

Picasso, periodo blu

Una mortifìcatio è un tempo       di sintomi. Queste torture della psiche nella physis, inesplicabili e       totalmente materializzate, vengono mitigate, in accordo con la sequenza       dei colori, da un moto verso la malinconia, che può aver inizio con un       rimpianto dolente perfino del sintomo perduto: «Era meglio quando stavo       male fisicamente – ora posso soltanto piangere». Estrema infelicità (“       blue misery”).       Così con l’apparire del blu il sentimento diventa sovrano e il sentimento       sovrano è il lamento dolente (Rimbaud equipara il blu alla vocale “O”, e       Kandinsky al suono del flauto, del violoncello, del contrabbasso e       dell’organo).       Sono lamenti che portano tracce dell’anima, del suo riflettere e       distanziare attraverso l’espressione immaginativa. Qui è più facile capire       perché la psicologia archetipale abbia eletto la depressione a via regia       del “fare anima”: gli esercizi ascetici che chiamiamo “sintomi” (e il loro       “trattamento”), la disperazione per la colpa e il rimorso, in quanto       decomposizioni della nigredo, trasformano la vecchia personalità dell’Io “riducendola”;       ma questa necessaria riduzione è solo preparatoria al senso d’anima, il       cui primo apparire è appunto nell’immaginazione venata di blu della       depressione.       Possiamo dire che il blu sia il prodotto di una collaborazione fra Saturno       e Venere. Secondo Giacinto Gimma – un gemmologo settecentesco – il blu       rappresenta Venere, mentre il capro, l’emblema saturnino del Capricorno, è       l’animale del blu; e il Capricorno, come ricorderete, si estende       lentamente dalle profondità alle altezze: immensa distanza e immensa       pazienza. Nel recare a Venere una malinconia più profonda e nell’indurre       magnanimità in Saturno (un’altra virtù del blu, secondo Gimma), il blu       rallenta anche il passo del bianco, perché è il colore del riposo (Kandinsky)       e quindi il fattore ritardante nell’imbiancamento.       È l’elemento della depressione che suscita dubbi profondi e principi       elevati, che vuol dare alle cose un ordine di fondo e definirle per       renderle chiare.       Questo effetto del blu sul bianco può manifestarsi in sentimenti di       servizio, in operosità e disciplinata osservanza delle norme, o in certi       simboli civici convenzionali che taluni di questi sentimenti potrebbero       assumere, come la Croce Blu, i “blue collars” e le tute blu. Lo stesso       effetto può anche manifestarsi nei sensi di colpa e negli scrupoli di       coscienza.       Vi è infatti un “aspetto morale nell’imbiancamento” – e penso che proprio       questo sia l’effetto del blu. L’imbiancamento non implica un venir meno       dell’Ombra, né un prenderne coscienza; per me significa invece un più       vasto spazio per sostenere le sue altezze e le sue profondità, la sua       intera dimensione. L’anima si fa più bianca perché l’Ombra è uscita dal       rimosso e si è diffusa nelle diverse ramificazioni della coscienza; come i       blu che infondono la profondità dell’ombra e la precisione del corpo nei       dipinti a olio, come la goccia blu che fa più bianco il bucato.       La peculiarità dell’ombreggiatura dipende dalla proporzione bianco/nero:        «Se il nero supera il bianco di un grado, ne risulta un colore blu-cielo».        Quanto più nero c’è tanto più scuro è il blu; e anche quelle celestiali       aspirazioni, che come lampi azzurri corrono nel lontano blu selvaggio,       portano un po’ di oscurità, una goccia di putrefazione, una grazia       salvatrice di depressione nella loro speranza; e la grazia salvatrice del       celeste (“light blu”) di Maria sta forse proprio in quel suo “grado di       nerezza”.       Secondo me, la definizione junghiana del blu, come “funzione di pensiero”       si connette all’antica associazione del blu con le profondità impersonali       del mare e del cielo, con la sapienza di Sophia, con la filosofia morale e       la verità. Le immagini dipinte di blu, dice lo pseudo- Dionigi «mostrano       la segreta profondità della loro natura»: il blu è «oscurità resa visibile». Questa profondità è una qualità della mente, un potere invisibile che       permea ogni cosa, come l’aria – e il blu è il colore dell’elemento aereo,       come l’Alberti scrive nella sua grande opera Della Pittura. Quando i blu       più scuri si presentano in analisi, io mi preparo, prevedendo che ci       attendano ora le altezze e le profondità di Animus e Anima, o dell’Animus       dell’Anima, come talora lo chiamano gli junghiani. (Sapevate che       “blue-stocking” significava donna colta, che “blueism” significava “il       possesso o l’ostentazione di cultura in una donna”, e che il semplice       termine “blue” significava un tempo “amante della letteratura”?).       Questi blu scuri sono inflazioni dell’impersonale, del nascosto; ma non       sono euforici nella loro inflazione, si presentano invece come ponderosi       pensieri filosofici, giudizi sul bene e sul male, e sul luogo della verità       in analisi. E tuttavia quel che sembra, e in effetti è, così profondo, in       realtà è distaccato e lontano dalle cose immediate.

Chagall

Chagall

      Ciò di cui stiamo parlando «sembra allontanarsi da noi» e «trascinarci al       suo seguito» (Goethe), con i modi seducenti di Anima.       Ricordare che l’Animus dell’Anima è uno spirito psichico che cerca di       illuminare l’anima, sprofondandola o innalzandola verso le verità       impersonali, mi aiuta a meglio destreggiarmi in queste sedute analitiche;       sono arrivato a capire, grazie a Goethe, che in questi colloqui blu-scuro       di “negazione stimolante” (pensieri negativi dell’Animus, giudizi negativi       dell’Anima), è riposto un tentativo di ricerca dell’anima. È un’opera di       distanziamento e di distacco (Goethe) che si va compiendo, uno sforzo di       riflessione che è tuttora intriso di nigredo, perché scava troppo in       profondità e preme troppo forte, trascurando le superfici immediate da cui       l’argento trae la sua luce; e tuttavia quelle stesse “negatività”, che       ossessionano a tal punto la riflessione con fosche intuizioni e “ruminazioni”       depressive, dilatano lo spazio psichico svuotando la stanza (Goethe) delle       sue precedenti strutture.       Quando l’anima tenta di aprirsi una via di uscita dall’oscurità,       attraverso faticose meditazioni filosofiche, ha luogo allora       l’imbiancamento: l’Animus è al servizio dell’Anima.       Persino la negatività dell’umore e della critica, e il mio stesso ritrarmi,       che avverto durante questi esercizi, appartengono a questo percorso blu       verso il bianco. La nigredo non ha termine in un’esplosione o in un       piagnucolio, ma impercettibilmente passa nel soffio dell’anima (anima) con       un sospiro.       Ci può essere di aiuto ricordare un’immagine di Rabbi ben Jochai riportata       da Scholem: la fiamma ascendente è bianca, ma proprio alla sua base, come       un piedistallo, vi è una luce blu nera la cui natura è distruttiva. La       fiamma blu nera attira le cose e le consuma, mentre il biancore continua a       fiammeggiare al di sopra. Il blu distruttivo e il bianco sono racchiusi       nello stesso fuoco, ed è in virtù della sua stessa inerenza alla nigredo -       commenta Scholem – che la fiamma blu può consumare l’oscurità di cui si       nutre.       Gli aspetti che siamo andati scoprendo in questa amplificazione mettono in       rilievo l’importanza del blu nel processo alchemico. Qualcosa di       essenziale andrebbe perduto se l’apparire del bianco non fosse che il       risultato di una liberazione dall’oscurità; qualcosa deve incorporare       nell’albedo una risonanza, una fedeltà a quel che è accaduto, e       trasmetterne la sofferenza con un’altra sfumatura: non più come dolore       lancinante, come decomposizione o come memoria della depressione, ma come       valore.       Il valore fa parte della fenomenologia dell’argento: il senso del valore       delle realtà psichiche non si genera soltanto dal sollievo alla più nera       disperazione. È proprio il blu che da valore al bianco, nei modi che       abbiamo indicato, e specialmente con l’introdurre preoccupazioni di ordine       morale, intellettuale e religioso; così portando alla mente imbiancata una       capacità di valutare le immagini, di dedicarvisi con devozione, e un senso       della loro verità, invece di riflettere semplicemente lo spettacolo che       offrono considerandolo una fantasia.       È il blu che da profondità all’idea di riflessione, al di là della sola       nozione del rispecchiarsi, inducendola verso nozioni ulteriori, quali il       ponderare, il considerare, il meditare. Si dice che i colori che       annunciano il bianco siano quelli dell’iride e dell’arcobaleno, quelli dei       “multi flores”, e soprattutto quelli che risplendono nella coda del pavone       con i suoi molteplici occhi.       Secondo Paracelso i colori sono il risultato di un prosciugarsi       dell’umidità: lo si creda o no, c’è più colore nel deserto alchemico che       nell’inondazione, più dove l’emozione è minore che dov’è maggiore.       L’inaridirsi libera l’anima dal soggettivismo personale e, man mano che       l’umidità si ritrae, quella vivacità un tempo posseduta dal sentimento può       ora oltrepassarlo, per riversarsi nell’immaginazione – dove il blu è       d’importanza straordinaria, perché è il colore dell’immaginazione tout       court.       Per fondare questa apodissi non mi limito a quel che finora abbiamo       esplorato – l’umor malinconico (“blue mood”) che favorisce il fantasticare,       il cielo azzurro (“bluesky”) che suscita l’immaginazione mitica       chiamandola alle mete più distanti, il celeste di Maria, epitome       occidentale dell’Anima, e la sua funzione di stimolo nel “fare immagine”,       la rosa blu del romanzo, un pothos che si strugge per ciò che è       impossibile, contra naturam (e pothos, il fiore, era una consolida reale       blu, o delphinium, posata sulle tombe).

da “Blu alchemico e unio mentalis” di James Hillman


"Le Dee dentro la donna", Jean S. Bolen


Gli archetipi sono modelli di comportamenti istintuali contenuti nell’inconscio collettivo, sono responsabili delle principali differenze che distinguono le donne fra loro, ed ogni donna è il personaggio principale nell’intreccio rappresentato dalla storia della propria vita.

Ciò che realizza una donna può non avere senso per un’altra: a seconda della dea che agisce in lei, in un essere femminile sono presenti più dee e più la personalità è complessa, maggiore è la possibilità che le dee attive siano più di una; ciò che soddisfa una parte di lei può apparire insignificante a un’altra parte.
Quando nella psiche della donna queste dee sono in competizione, lei deve decidere quale aspetto di sé esprimere e quando, per evitare di trovarsi confusa ed in balia delle proprie indecisioni.

E’ importante sottolineare che l’ambiente sociale, familiare, culturale possono influenzare il manifestarsi nella bambina di un archetipo, anche se è quello principale, e ciò può portare la donna a vivere un senso di inadeguatezza e sofferenza, in quanto deviata dalla sua vera essenza interiore. Le aspettative della famiglia verso la figlia possono rinforzare alcune divinità e reprimerne altre.
Nel momento in cui dee diverse si contendono la supremazia, come accade in periodi di cambiamenti ormonali (mestruo, gravidanza), i “cambiamenti” di dea possono provocare conflitto e confusione.

Studiando le caratteristiche delle singole dee, la donna può rendersi conto che un archetipo che le sarebbe utile, in lei non è ancora sviluppato: è possibile allora “invocare” quella dea, facendo uno sforzo cosciente per avvertirne la presenza, contattandola attraverso l’immaginazione, e quindi chiederne la forza di cui è portatrice.

Gli archetipi femminili prendono in esame la mitologia greca e vengono distinti due gruppi di dee:

1. Dee vergini Artemide, Atena, Estia

Rappresentano le qualità femminili dell’indipendenza e dell’autosufficienza, gli attaccamenti emotivi non le distolgono da ciò che ritengono importante, non agiscono da vittime e non soffrono.
L’aspetto della dea vergine rappresenta quella parte di donna che l’uomo non riesce a possedere o “penetrare”, non viene toccata dal bisogno di un uomo o dalla sua approvazione, che esiste di per sé interamente separata da lui.

2. Dee vulnerabili – EraDemetraPersefone

Rappresentano i ruoli tradizionali di moglie, madre e figlia. Dee la cui identità ed il benessere dipendono dalla presenza, nella loro vita, di un rapporto significativo; ciò che le motiva è la gratificazione del rapporto, approvazione, amore, attenzione. Sperimentano la possibilità di crescita attraverso la sofferenza e spesso reagiscono con vittimismo. 

In una categoria a parte troviamo Afrodite, dea dell’amore e della bellezza, viene definita dea alchemica in riferimento al processo magico o potere di trasformazione che lei sola possedeva.

Artemide

Il mito: nota come Diana (dai romani) era la dea della caccia, della luna, della vita selvaggia, molto legata agli animali ed alla natura, con cui era in totale comunione spirituale. Le donne si rivolgevano a lei nel momento in cui partorivano perchè l’aiutassero ad alleviare il dolore, lei che dal dolore non veniva sfiorata.

L’archetipo: agiva in maniera rapida e decisa, per portare protezione e soccorso a chi si rivolgeva a lei, e rapida nel punire chi la offendeva. Si sentiva a suo agio la notte. Personificazione dello spirito femminile indipendente.

La donna: colei che incarna questo archetipo porta in sé un senso di completezza “so badare a me stessa” che le permette di agire da sola. La sua identità ed il senso del proprio valore non dipendono da un uomo, ma da “ciò che è” e ”ciò che fa”. Manifesta molto coraggio nell’affrontare gli ostacoli.
La competitività stimola la sua eccitazione per la ”caccia”. Capacità innata di concentrarsi intensamente su ciò che lei considera importante al fine di raggiungere i propri obiettivi. Si può definire ostinata ed esploratrice. La donna Artemide tende a vivere sentimenti forti in relazione alle cause ed ai principi che sostiene(femministe, attiviste politiche…). Se da piccola viene ostacolata nella manifestazione della sua personalità Artemide, la donna svilupperà un senso di inadeguatezza.
L’età adulta porta questa donna ad aver acquisito un’esperienza sessuale come espressione della sua tendenza ad esplorare, ed a collezionare (caccia) avventure. Anche se sposata mantiene la propria indipendenza, arrivando a costruire un rapporto paritario con il marito.
Predilige lavori che le permettono un avanzamento di carriera, e in cui possa manifestare tutte le sue qualità.

Aspetti negatividisprezzo per la vulnerabilità, rabbia distruttiva verso le persone che possono veramente ostacolare il raggiungimento di un suo obbiettivo. Spesso questo tipo di donna emana un senso di inaccessibilitàfreddezzaspietatezzaverso chi le causa un torto; quando vuole raggiungere un risultato utilizza tutte le sue risorse, anche se questo può portare a ferire altre persone.

Aspetti da integrare: la donna deve sviluppare il suo potenziale inconscio, la sua recettività, acquisire la capacità di trasformare l’esperienza vissuta dandole un contenuto personale, e non viverla solamente come una conquista. Dovrebbe imparare ad amare ed a prendersi cura di un altro essere; accettare la vulnerabilità nelle altre persone, senza giudicarle.

Atena

Il mito: dea greca della saggezza e dei mestieri, dai romani detta Minerva. Nota per le strategie vincenti e per le soluzioni pratiche.

L’archetipo: come archetipo, rappresenta il modello seguito dalle donne razionali, governate dalla testa più che dal cuore. Capacità di mantenere il controllo in situazioni difficili o d’emergenza, mettendo a punto strategie adeguate che portano la donna ad agire con la determinazione di un uomo. Dea vergine che però cercava la compagnia e l’alleanza con l’uomo.
Archetipo che porta la donna a tenere sotto controllo gli eventi, a considerare gli effetti e modificare il corso di un’azione nel momento in cui essa appare improduttiva.

La donna: appare obbiettiva, impersonale e capace. La donna Atena è quella che apre il cofano della macchina ed aggiusta il guasto. L’organizzazione le viene naturale, risulta essere una lavoratrice instancabile, predilige i lavori in cui mente e mani lavorano assieme. Colei che incarna questa dea vive nella mente e spesso non è in contatto con il proprio corpo. Se ostacolata da piccola nel manifestare questo archetipo, da adulta può reprimere ciò che prova, ed indossare una corazza protettiva, diventando insensibile ai sentimenti, perché altrimenti non si sente al sicuro. 
I rapporti con gli uomini sono più a livello di amicizia o collaborazione, di solito impara a fare l’amore con grande maestria, anche se non sa cosa significhi spingere il corpo fino al limite. Se si sposa crea un rapporto di solidarietà più che un’unione appassionata, diventa la consigliera del marito e non è gelosa, a meno che non venga messo in pericolo il suo matrimonio, se vede che ciò non può accadere accetta anche la presenza di un’amante.

Aspetti negativiintimidisce gli altri, ha il potere di rendere sterili le esperienze altrui se non le ritiene importanti può trasformare una conversazione in uno scarno resoconto di particolari, essendo molto nella mente; può mostrare mancanza di sensibilità e nasconde la sua vulnerabilità con autorità e critica. Rischia di dedicarsi sempre al lavoro, e di non staccare mai la mente.

Aspetti da integrare: non è mai stata bambina, deve imparare ad affacciarsi alla vita con l’innocenza e lo stupore di un bimbo, imparando a lasciarsi andare alle proprie emozioni attraverso la risata ed il pianto, e accettando anche di farsi abbracciare.

Estia

Il mito: dea del focolare dai romani detta Veste. Presenza avvertita a livello spirituale come fuoco sacro che riscalda e protegge. I rapporti sessuali di una vestale con un uomo profanavano questa dea, e come punizione veniva sepolta viva.

L’archetipo: come archetipo conferisce alla donna un senso di purezzacompletezzaportatrice di verità, ed il senso di una visione spirituale profonda. Quest’ultimo aspetto le dona la capacità di concentrarsi sull’esperienza soggettiva interna, la sua percezione avviene attraverso lo sguardo interiore e l’intuizione. 
La modalità estiana ci permette di stabilire un contatto con quelli che sono i nostri valori, mettendo a fuoco ciò che è significativo a livello personale.

La donna: ama la solitudine e dedicarsi alla pulizia della casa, attraverso i lavori domestici porta ordine dentro di sé, ed è molto soddisfatta quando tutto è in ordine e pulito.
La donna Estia predilige ambienti religiosi o percorsi spirituali anche rigidi.
Il suo io non è alla ribalta non nutre ambizioni e non è legata a ciò che la circonda, ma al suo mondo interiore. Questo tipo di donna è silenzioso, non invadente, la sua presenza crea un’atmosfera di calore ed ordine che dà un senso di pace. La bambina con questo archetipo che si trova in un ambiente familiare conflittuale, tende a chiudersi nel suo mondo interiore e coltiverà un senso di isolamento.
La sessualità non è un aspetto importante nella sua vita: se sposata nei rapporti intimi non sarà attiva e non ne sentirà la mancanza se rari, manifesta il desiderio di essere cercata, e risulta essere una buona moglie; comunque la donna Estia si sente realizzata anche senza la presenza di un uomo. Nel lavoro non è competitiva e risulta essere molto affidabile.
La pratica della meditazione può gradualmente attivare o rinforzare l’ascendente di Estia, la dea introversa che coltiva il suo mondo interiore.

Aspetti negativi: donna soggetta alla solitudine e all’isolamento. Le manca la capacità di imporre le proprie ragioni se scontenta o svalutata, subendo passivamente ciò che le accade; la solitudine che la donna Estia apprezza molto può diventare abbandono se le persone da lei amate, ignorando i suoi sentimenti, la lasciano. Se privata di sicurezza e stabilità date da situazioni istituzionalizzate, può sentirsi senza protezione (chiesa, matrimonio). Difficoltà ad avere rapporti con gli altri se non è in un luogo a lei familiare, infatti ad una festa può sentirsi goffa, timida, inadeguata.
Fra tutte le divinità, Estia, era l’unica a non essere rappresentata con sembianze umane, le mancava un’immagine o una Persona (*).

Aspetti da integrare: dovrebbe imparare ad esprimere i sentimenti in modo da farli arrivare alle persone che le sono care, arrivando ad acquisire una “Persona”; ed imparando a proporsi in maniera affermativa.
E’ importante che cerchi di slatentizzare il suo “animus”, cioè la sua dimensione maschile interna che può aiutarla a passare all’azione nelle situazioni difficili; questo le permetterebbe di essere chiara e capace di affermare il proprio sentire. 
La donna Estia deve fare attenzione a non essere sopraffatta dal suo aspetto intellettivo (logos), che la può portare ad un’indagine scientifica della sua esperienza interna.

(*)Persona: nella psicologia iunghiana, la Persona è la maschera dell’adattamento sociale che l’individuo 
presenta al mondo.

Era

Il mito: la maestosa, regale, splendida Era, che i romani conoscevano come Giunone, era la dea del matrimonio.
Si narra che era moglie di Zeus, il quale era molto infedele, ma lei rivolgeva la sua rabbia furiosa contro le amanti, piuttosto che verso il marito. Era, dea che fu riverita ed oltraggiata, onorata ed umiliata, possiede attributi positivi e negativi assai più marcati di altre dee.

L’archetipo: archetipo che rappresenta una forza di potente intensità, sia nella gioia che nel dolore.

La donna: la donna che veste questo ruolo si sente incompleta senza un compagno, ed una volta sposata intende rimanere tale nella buona o nella cattiva sorte. Le piace fare del marito il centro della propria vita, e spesso sposa un uomo che rappresenta sia una creatura bisognosa di calore, sia un uomo potente. Se da piccola vive in una famiglia dove non regna l’armonia, la donna Era farà di tutto per sposarsi, al fine di costruire lei una situazione familiare in cui si senta protetta, e dove possa concretizzare l’ideale che ha del matrimonio.
La sessualità va di pari passo al matrimonio, generalmente arriva vergine all’altare, quindi la sua scoperta della sessualità dipende da ciò che le trasmette il marito. Per lei il lavoro è un aspetto secondario della vita, quindi farà di tutto per conciliarlo con la vita matrimoniale. In genere la donna Era non da molta importanza alle amicizie e di solito non ha un’amica del cuore.
La donna Era reagisce alla perdita e al dolore con la collera e con l’attività (spesso andandosene), inoltre cade nel vittimismo che la fa sentire potente anzichè rifiutata.

Aspetti negativi: può restare prigioniera fra archetipo e cultura, infatti per non andare contro al credo religioso, preferisce portare avanti un matrimonio all’insegna della sofferenza. La donna Era condanna e punisce le altre donne escludendole o dando loro ostracismo, tende a porsi come giudice della società; può essere vendicativa se scopre che l’uomo, su cui aveva riversato tutte le sue attenzioni, non le riconosce l'impegno che mette in ciò che fa.
Se insicura è molto esposta alla gelosia, e quando il marito in pubblico la trascura si sente umiliata e poco considerata.

Aspetti da integrare: questa tipologia di donna è importante che riconosca l’influenza di Era, comprendendo le suscettibilità che le sono proprie al fine di andare oltre la dimensione che l’archetipo rappresenta; imparando a fare delle scelte che la gratifichino e non lasciando che sia sempre il marito a decidere.
Nel momento della rabbia non si deve lasciare sopraffare da questa emozione, ma riflettere sulle scelte che ha a disposizione, imparando a canalizzare collera e gelosia in un’attività che le permetta di trasmutarle (pittura, scrittura, lettura, lavoro). E' importante che impari ad accettare la fine di un rapporto, staccandosi da un sentimento di gelosia e rancore se il compagno ha deciso di lasciarla.

Demetra

Il mito: dea delle messi (presiedeva all’abbondanza dei raccolti), nutrice e madre. I romani la conoscevano come Cerere “cereale”.

L’archetipo: è l’archetipo della madre, rappresenta l’istinto materno che si realizza nella gravidanza o nel dare agli altri nutrimento fisico, psicologico o spirituale. Chi incarna questo ruolo è impaziente di diventare madre.
L’archetipo materno spinge la donna ad essere nutrice, generosa e disinteressata, e a cercare la propria soddisfazione nel curare e accudire gli altri.
Se l’archetipo Demetra cade in depressione immediatamente sospende il contatto emotivo con il figlio o il compagno, il quale si sentirà abbandonato, ma essendo dipendente da lei potrà incontrare difficoltà gravi a livello psicologico.

La donna: alla donna Demetra piace preparare grandi pranzi per la famiglia e gli ospiti, ed è invasa dal piacere quando le fanno i complimenti per le sue attitudini di buona madre. Altro attributo è la perseveranza, infatti rifiuta di darsi per vinta quando è in gioco il benessere dei figli.
Quando questo archetipo è predominante in una donna, e lei non riesce a gestirlo, può cadere in depressione al momento in cui i figli se ne vanno, sindrome da “nido vuoto”, e sentirsi inutile. Nei suoi rapporti è provvida e protettiva, soccorrevole e generosa, attenta a ciò che la circonda, altruista e leale verso le persone e verso i principi.
Se la bambina Demetra nasce in una famiglia in cui il padre non ha un istinto paterno, svilupperà in età adulta un atteggiamento di vittima.
Generalmente questo tipo di donna predilige uomini che appaiono immaturi ed insicuri, su cui lei può esercitare le sue cure, però poi molto spesso diventano completamente dipendenti da lei, si crea un legame amante-figlio e frequentemente lei è cronologicamente più grande. 
Sessualmente non è molto attiva, preferisce effusioni e coccole.
Questo tipo di donna è vulnerabile, ed ha difficoltà a dire di no anche quando è molto stanca,ma invece di ammettere il proprio sentire diventerà apatica ed aggressiva. Queste qualità trovano espressione in professioni sociali come l’insegnamento, la cura dei malati, e nel lavoro non sarà competitiva e neanche intellettualmente ambiziosa.

Aspetti negativi: manifesta vittimismo, potere e controllo, lasciandosi andare a manifestazioni di rabbia e depressione;
tende a creare rapporti di dipendenza.
Generalmente esercita un controllo eccessivo sull’altro e crea attorno a sè insicurezza e inadeguatezza.
Il suo comportamento passivo-aggressivo la fa apparire incapace di gestire le difficoltà, e questo la fa sentire in colpa.

Aspetti da integrare: dovrebbe imparare ad esprimere la rabbia, anzichè comprimerla dentro di sè, così facendo ridurrebbe il rischio di cadere in depressione; imparando anche a dire di no quando è stanca, eviterebbe la sensazione di vuoto e di depressione dovuti agli impegni eccessivi. Dovrebbe “lasciare andare e lasciare crescere”.
Dovrebbe accettare di chiedere aiuto quando si trova in difficoltà, ammettendo che non è in grado di gestire la situazione, imparando a diventare madre di se stessa, chiedendosi cosa è meglio per lei.
Sarebbe indicato che non restasse fissata ad una fase, reagendo all’apatia, al fine di non restare in un’esistenza vuota e sterile: imparando ad accettare che la vita ha degli alti e bassi ed attraverso la fluidità può riuscire a superare un momento difficile uscendone con una più profonda saggezza e comprensione spirituale.

Persefone

Il mito: questa dea aveva due nomi, a simboleggiare i due aspetti contrastanti che la distinguevano:
Kore ossia giovane fanciulla che ignorava chi fosse, e Persefone regina degli inferi data la sua capacità di gestire piani profondi della propria psiche. Dai romani era chiamata Proserpina o Core.
Come regina degli inferi, Persefone era una donna matura, che regnava sulle anime dei morti, guidava i viventi negli inferi e pretendeva per sè ciò che desiderava. Questo aspetto sta a rappresentare la capacità di muoversi fra la realtà egoica del mondo oggettivo e la realtà inconscia della psiche

L’archetipo: quando questo archetipo è attivo è possibile che la donna operi una mediazione fra i due livelli (fanciulla e regina degli inferi), integrandoli entrambi nella personalità, e faccia da guida ad altri che “visitano” il mondo sotterraneo nei sogni o nelle fantasie, oppure a coloro che perdono il contatto con la realtà. Simbolicamente il mondo degli inferi può rappresentare gli strati più profondi della psiche, il luogo dove giacciono i sentimenti ed i ricordi, dove si trovano immagini ed istinti, sentimenti archetipici comuni a tutta l’umanità (inconscio collettivo).

La donna: la donna che incarna questo archetipo non è predisposta ad agire, ma ad"essere agita" dagli altri, vale a dire ad avere un comportamento condiscendente ed un atteggiamento passivo.
L’aspetto di fanciulla archetipica rappresenta una giovane che ignora chi sia, ancora inconsapevole dei propri desideri e delle proprie forze: l’atteggiamento è quello dell’eterna adolescente indecisa su ciò che vuole essere da grande. Tende anche a compiacere la madre e ad essere “la brava bimba” obbediente ed attenta, spesso vive al riparo o protetta da esperienze che presentino dei rischi.
Donna che si adatta ai desideri dell’altro, in quanto non è abbastanza consapevole di sè, da essere capace di dare un’immagine di quella che è la sua vita soggettiva. La sua innata recettività la rende molto duttile, e ciò la porta a fare qualsiasi cosa gli altri si aspettino da lei.
Persefone è giovinezza, vitalità e la donna che incarna questo archetipo è recettiva ai cambiamenti e rimane giovane di spirito per tutta la vita.
La bambina Persefone, iperprotetta, svilupperà un atteggiamento fragile e bisognoso di protezione e guida, e resterà dipendente a qualcuno.
Sessualmente è inconsapevole della propria sessualità, aspetta il principe azzurro che giunga a svegliarla. Con gli uomini è una donna-bambina, dall’atteggiamento remissivo e giovane.
Se è carina può attirare l’amicizia di donne che non si considerano particolarmente femminili, che proiettano su di lei la propria femminilità non sviluppata, e la trattano come qualcosa di speciale.
Generalmente passa da un lavoro all’altro nella speranza che ne trovi uno che la interessa davvero. Vive nel “Paese che non C’è” come Wendy con Peter Pan, vagabondando e giocando con la vita. Oppure se la donna ha superato crisi psicologiche profonde può decidere di aiutare altri ad uscire da questa situazione, scegliendo di lavorare in reparti psichiatrici. Come la dea, la donna Persefone può evolvere nelle varie difficoltà della sua vita o rimanere fissata ad una fase.

Aspetti negativi: il narcisismo può essere una trappola per questa donna, infatti può fissarsi su di sè con tanta ansia da perdere la capacità di rapportarsi agli altri.
Soggetta alla depressione, chiude ermeticamente dentro di sè rabbia o dissenso.

Aspetti da integrare: la donna Persefone può superare la sua dimensione se è costretta ad affrontare la vita con le sue sole forze e prendersi cura di sè, solo quando non ha qualcuno che decida per lei può crescere.
E' in grado di sviluppare qualità estatiche e numinose da sacerdotessa, arrivando a sentirsi inebriata dai rituali e può sviluppare potenzialità di medium o sensitiva, per fare ciò deve superare l’aspetto “Kore”.
Se scesa nelle profondità di se stessa e superato le difficoltà, può essere d’aiuto a persone che attraversano tali fasi, diventando guida per gli altri.

Afrodite

Il mito: dea alchemica dell’amore e della bellezza, donna creatrice ed amante. Chiamata dai romani Venere. Nella mitologia greca, Afrodite era una presenza che incuteva reverenza, perchè provocava nei mortali e nelle divinità l’innamoramento ed il concepimento di una nuova vita. Ispirava la poesia e le parole persuasive, e rappresentava il potere di trasformazione e di creazione proprio dell’ amore. Afrodite in tutti i rapporti non fu mai vittima della passione non ricambiata nei suoi confronti.

L’archetipo: l’archetipo Afrodite determina il piacere che certe donne provano per l’amore, la bellezza, la sensualità e la sessualità. Afrodite rappresenta la spinta a garantire la continuazione della specie. 
Questo archetipo rappresenta una forza immensa di cambiamento, infatti attraverso questa dea fluivano attrazione, unione e nascita di una nuova vita.

La donna: ogni donna nel momento in cui si innamora di qualcuno che ricambia quel sentimento, diventa la personificazione di questo archetipo. Si trasforma da essere mortale in dea dell’amore, si sente attraente e sensuale. Si innamora spesso e volentieri ed ha un magnetismo personale che attira gli altri in un campo carico di erotismo. Se l’archetipo riesce ad esprimersi, non di rado la donna si trova in opposizione con i modelli correnti di moralità, fino a rischiare l’ostracismo.
Colei che incarna questo archetipo se rimane incinta non è perchè animata dal desiderio di avere un figlio, ma perchè desidera sessualmente l’uomo che ama.
La donna che si identifica con Afrodite spesso è estroversa e la sua personalità esprime una brama di vita e un che di selvaggio. Tende a vivere nel presente immediato, prendendo la vita come se non fosse niente di più di un’esperienza dei sensi.
Generalmente quando è piccola ama stare al centro dell’attenzione ed indossare abiti belli, ed i genitori assecondano e sono orgogliosi di tali caratteristiche, ma poi arrivata in età adolescenziale gli stessi parenti la tengono molto sotto controllo, e la rimproverano di tali comportamenti, che possono attirare i ragazzi. Tutto questo crea molta confusione nella giovane, che arriva a sentirsi in colpa senza sapere bene la motivazione. Quando la donna Afrodite cresce in un’atmosfera che condanna la sessualità femminile, può accadere che tenti di soffocare l’interesse per gli uomini e si consideri impura per i desideri sessuali che sente.
Per la donna Afrodite è difficile realizzare un matrimonio monogamo e durevole, le piacciono gli uomini che attira con il suo fascino e con l’interesse che dimostra per loro: un interesse seduttivo, che fa sentire un uomo speciale e sexy. 
Il lavoro che non la coinvolge da un punto di vista emotivo non la interessa, a lei piacciono varietà ed intensità, compiti ripetitivi come le faccende di casa, o un impiego monotono l’annoiano, adora svolgere un’attività che le permetta di utilizzare la sua creatività.
Molto spesso questo tipo di donna non è bene accettata dalle altre, in quanto gelose del suo fascino ed eleganza. In genere si trova bene con donne che hanno il suo stesso archetipo.
L’artista immerso in un processo creativo, è ispirato dall'archetipo di questa dea.

Aspetti negativi: se legata ad un amore infelice, in cui il suo lui non la considera molto, può lasciarsi travolgere dai sentimenti e arrivare ad accontentarsi delle piccole attenzioni che le arrivano dall’uomo che desidera, ma tutto questo le crea uno stato di sofferenza; se invece s’innamora di un uomo che non è interessato a lei, il suo coinvolgimento ossessivo può portarla a rimanere in questa situazione anche per anni, impedendole di concentrarsi su altri rapporti.

Aspetti da integrare: riconoscere la distruttività di un attaccamento verso un uomo che non la desidera. 
Imparare che quando deve prendere una decisione importante, è fondamentale che entri in contatto con i sentimenti contrastanti e conflittuali che vive, cercando di analizzarsi e capire cosa è veramente importante per lei, vagliando i sentimenti, i valori, e le motivazioni che sente.
Apprendere a non rimanere ferita quando si trova in competizione con persone aggressive, che vogliono ottenere potere e posizione, e sviluppare il proprio potere personale, rimanendo però una persona tenera e comprensiva.
Imparare a tenere una certa distanza emotiva dai rapporti, in modo da averne una visione complessiva scegliendo così ciò che per lei è significativo: questo le consentirebbe di non idealizzare un uomo. Dovrebbe imparare a dire no se necessario, nonostante la disponibilità che la caratterizza, al fine di non subire imposizioni.

Conclusioni

Dal momento che all’interno della donna più dee possono rivaleggiare fra loro, è importante che in una situazione conflittuale, cerchi di trovare un equilibrio fra i vari sentimenti che prova, creando una sorta di cooperazione fra tutte “le figure che la caratterizzano”. Tutti gli aspetti della personalità devono essere ascoltati al fine di trovare una soluzione comune, che possa placare tutte le parti attive ed in conflitto fra loro.

Poichè ogni dea rappresenta un istinto, un valore, o un aspetto particolare della psiche della donna (personalità), la quantità di cose che ciascuna dea avrà da dire dipenderà dalla forza dell’archetipo, e dallo spazio che l’Io le concede. L’’IO deve essere considerato come il supervisore, che mantiene il controllo e gestisce tutte le parti attive, perchè se ciò non accade, la confusione mentale porta la donna ad un crollo psicologico.
Una volta che la donna ( attraverso l’osservazione del proprio IO) è divenuta consapevole della presenza in lei delle dee archetipiche ed è giunta a considerarle come una sorta di “assemblea”, possederà due utilissimi strumenti di introspezione: ascoltare le proprie voci interne, riconoscere chi sta parlando e capire quali dee la influenzano.

Altro aspetto importante è che coltivi il proprio “animus”, cioè il lato maschile presente in ogni donna, per imparare ad attingere da questa forza che è innata dentro di lei e la può aiutare a gestire situazioni difficili.
Ogni donna nel corso della sua vita deve affrontare innumerevoli difficoltà, si trova di fronte a scelte difficili ed arriva un momento in cui non vede via di uscita ma, se riesce a non lasciarsi sopraffare dalla paura e dalla disperazione, sarà in grado di trovare la luce che è fuori dalla caverna. Simbolicamente ripercorre le tappe delle divinità greche che, alla fine come descritto nei miti, ritrovavano la serenità e la completezza.

Sintesi tratta da http://www.shantisara.it/dee_donna.htm


giovedì 29 ottobre 2015

Trasformare il buio in luce


Non si può trasformare il buio in luce e l’apatia in movimento senza l’emozione. (Carl Gustav Jung)

La dea dentro la donna: ATENA



L’archetipo della Dea Vergine – Atena.
Tra le dee così dette “Vergini”, oltre ad Artemide, dea della Caccia e della Luna nuova, messa dalla psicologia mitica in relazione al bisogno di indipendenza e libertà dagli schemi patriarcali e alla ricerca della propria realizzazione al di là delle imposizioni della psicologia collettiva; oltre a Vesta, la dea dei templi e del focolare, messa in relazione al bisogno della donna di “bastare a se stessa” dedicandosi alla sua creatività, al fuoco sacro che vive dentro ogni creatura come una scintilla divina che la riconnette all’intero Creato attraverso la spiritualità o una passione personale, ho voluto analizzare in questo studio il modello di Atena, la dea della saggezza e della ragione, ma anche della guerra e della tessitura; un archetipo che l’astrologia psicologica mette in relazione con la Luna in aspetto a Saturno, la Luna in Capricorno o la Luna nel decimo settore dell’oroscopo.

Atena, nata direttamente dalla testa di Zeus, con elmo, lancia, scudo e corazza è il simbolo di un femminile guerriero che porta avanti un messaggio di indipendenza e di autonomia rispetto al mondo maschile, non concedendo quasi nulla al sentimento e al mondo delle emozioni, perché ha imparato che solo immergendosi nelle emozioni e nei sentimenti, si può più facilmente essere feriti, si può fallire e provare dolore.

La dea Atena aveva un rapporto particolare col mondo maschile, prediligendo gli eroi, ma anche col mondo femminile, di cui non tollerava la fragilità. Era quindi molto più in contatto col suo Animus maschile, che con la sua Anima femminile.

Animus ed Anima secondo Jung sono due Archetipi primari: L’ Animus, presente sia nell’uomo che nella donna, esprime la parte maschile della psiche, quella che ragiona, propone, agisce e lotta per conquistare ciò che vuole, mentre l’ Anima, anch’essa presente sia nella donna che nell’uomo, è la parte femminile, quella che vuole dipendere e creare legami affettivi, che vuole emozionarsi e relazionare.

Ecco perché Atena è più vicina al principio junghiano maschile di Logos che a quello femminile di Eros: infatti, se il Logos è strettamente collegato alla capacità che c’è nell’uomo di risolvere ogni situazione della vita attraverso l’azione ragionata ed il pensiero, l’Eros elegge la donna a custode primaria del valore dei sentimenti e della capacità di mediare nelle relazioni attraverso il cuore, ma anche attraverso l’intuizione e la spontaneità del suo impulso vitale.

Il fatto che la dea non avesse conosciuto né madre né infanzia e quindi simbolicamente che non avesse coltivato dentro di sé quella sfera di accoglienza e nutrimento che si sperimenta da bambini attraverso il contatto coll’amore materno e che forma all’Eros, ma soprattutto che fosse nata già vestita ed armata di tutto punto direttamente dalla testa di Zeus, può simboleggiare sia le poche concessioni che la donna Atena fa al mondo dei sentimenti o alla sfera emotiva, sia l’imprescindibile bisogno di risolvere ogni aspetto dell’esperienza soltanto con la ragione, con la logica ed il controllo mentale.

Atena è la dea “impenetrabile”: tanto quanto le dee Vulnerate si rendevano vulnerabili perché mosse dal bisogno di intrattenere relazioni intense e partecipate, altrettanto Atena rimaneva fredda nella sua olimpicità, in un distacco ragionato che le permetteva di gestire ogni situazione attraverso il pensiero, attraverso la logica e la ragione.
E’ per questo che la donna che si sia identificata soprattutto in questo modello divino si porge in maniera tale da scoraggiare ogni scambio affettivo ed emotivo col mondo esterno: tutto viene valutato e risolto da lei all’interno della sua “testa”, come se fosse un filtro capace di setacciare tutto ciò che può indurre sofferenza o l’incontro con una profondità emotiva che lei non vuole sondare. Solo così può restare “Vergine” e incontaminata dal desiderio e dalla dipendenza che può comportare il “sentire”, il partecipare. 
Atena non “sente”, Atena innanzitutto ha bisogno di ragionare.

La verginità di cui parla la psicologia mitica quindi, in contrasto con la vulnerabilità, è sinonimo della volontà della donna che abbia aderito a questo modello divino di “non farsi toccare dentro”, nella parte più intima di sé, perché timorosa di perdere la sua tranquillità emotiva che potrebbe essere messa a rischio da una relazione coinvolgente, perché solo una relazione coinvolgente può far esporre il fianco alla sofferenza e alla sconfitta.
E la donna Atena che non abbia ancora completamente evoluto questo archetipo divino teme soprattutto la sconfitta… sarebbe troppo doloroso per lei e la farebbe precipitare di nuovo in una condizione di fallimento che è stata sicuramente sperimentata nell’infanzia quando era vulnerabile, fragile e dipendente dal potere di qualcun altro, tanto da rifuggire nell’età adulta le esperienze che semplicemente balenino una tale evenienza.

La psicologia junghiana infatti, dà un’importanza fondamentale al vissuto infantile, a tal punto da affermare che tutta la struttura razionale della persona poggia su sensazioni ed emozioni che sono state sperimentate nell’infanzia.

E la donna Atena ha avuto un’infanzia in cui ha dovuto fare soprattutto da sola. Se c’era appoggio, lo aveva dal padre più che dalla madre, che era assente o le rifletteva un modello femminile che condannava ogni fragilità.
Questa incapacità di contattare la sua parte emotiva e dare un valore positivo al principio di Eros si è legata a sensazioni spiacevoli sperimentate nell’infanzia, che hanno segnato anche la struttura mentale, a tal punto che la bambina Atena è forte, responsabile e capace di fare da sola in ogni problema pratico della vita, ma via via sempre più in difficoltà con la sfera affettiva ed emotiva.

Infatti, nell’età adulta, la donna Atena è pragmatica, efficiente e sa muoversi con competenza proprio in quei settori che la tradizione assegna come dominio del mondo maschile. E’ costante, determinata e capace di risolvere ogni problema ancor più dell’uomo perché attinge dal suo innato buon senso che è sicuramente in analogia con la sfera della razionalità.

L’unico settore che le può creare difficoltà è quello del cuore… Infatti, proprio nell’attimo in cui riesce a stabilizzare la sua esistenza, il destino le riserva esperienze emotive particolari, che la invitano a scendere dentro di sé, a scoprire le sue profondità emotive, perché solo l’immersione nelle acque profonde della sua anima potrebbe mostrarle chi è, al di là dell’identificazione che ha scelto per sentirsi sicura.
E a questo punto che di solito la donna Atena si ritrae e rinuncia alla lotta, perché è l’unica lotta che teme davvero: quella con se stessa e col suo bisogno di verità.

Ed anche quando cede all’amore, perché nessun altro archetipo è più desideroso d’amore quanto questo, è solo per un attimo perché, dopo l’immersione in sentimenti positivi e fiduciosi, gradualmente tutto si confonde; è come se lei automaticamente s’infilasse in un labirinto senza uscita e in storie complicate, con l’inconscia paura che possano funzionare, mettendo a rischio l’unica immagine di sé in cui ha scelto di identificarsi per proteggere il suo cuore, ma anche per l’imprescindibile bisogno di libertà, che è fortissimo in questo archetipo divino.

Il rischio più grande per la donna che debba ancora far evolvere l’archetipo e non farsi “rapire” da lui, è il rifiuto a sperimentare la gamma completa delle emozioni perché ne è spaventata; è il non volersi innamorare per non rischiare di soffrire; è la paura di mettersi in gioco ed esporsi a perdere; è il non partecipare spontaneamente alla gioia e alla sofferenza degli altri, perché ha il timore di vuole ascoltare la propria; è l’incapacità di ridere e di piangere quando sarebbe naturale farlo, perché la sua tranquillità emotiva ed il bisogno di distacco emotivo sono più forti del bisogno di dare e scambiare amore.
La donna Atena si rifugia dietro un muro di roccia alto fino al cielo e si sente sicura: è la sua corazza, è il suo rifugio, nessuno potrà valicare quel muro, nessuno la potrà più ferire e soprattutto nessuno le potrà far male. Lei rimarrà “Vergine”, inviolabile, ma si allontanerà anche ogni giorno di più dal suo cuore, dall’essenza di sé e soprattutto dalla sua immensa capacità di amare.

Ma il mito ci viene ancora una volta in aiuto, ricordando che Atena non era solo la dea della guerra e della ragione; Atena era anche la dea della tessitura.

Atena, la tessitrice.
La tessitura nei vari miti antichi, un’arte che era riservata esclusivamente alle donne, era un simbolo ben preciso di chiarezza interiore, ma anche di buon senso perché rappresentava la necessità che, ad un certo punto dell’opera, la filatrice riconoscesse “quando continuare a filare e quando stuccare il filo” della tela su cui era intenta; quando inserire un colore, abbandonandone un altro, in modo tale da impreziosire e portare avanti al meglio l’intero disegno.

Si può ricordare che Signore della “tessitura della vita” erano le tre Moire, le Parche dei Latini: Lachesi, Cloto ed Atropo. Erano figlie di Zeus e di Temi, la dea della Giustizia, sorelle di Ananke, la Necessità.
Le dee erano preposte a far sì che il disegno della vita assegnato ad ogni persona venisse portato avanti nel tempo stabilito, di conseguenza erano superiori a Zeus stesso perché fosse rispettato l’ordine naturale dell’Universo, a cui anche gli dei erano soggetti.

Platone, ne “La Repubblica”, ci parla delle tre dee nel “mito di Er”. Sedevano in circolo e ciascuna di loro era su un trono: le anime si presentavano dapprima a Lachesi che assegnava loro il “tessuto” della vita, stabilendone i tempi e la durata; poi passavano da Cloto, che confermava sotto il giro del fuso il destino assegnato e infine Atropo, l’inesorabile, tagliava il filo quando arrivava il momento stabilito, perché il “disegno” si ritenesse ultimato.
Otre alle Moire, ricordiamo che comunque il tessere e filare erano azioni riservate alle dee femminili, soprattutto “lunari” che si preoccupavano che le leggi del divenire, della fine e della rinascita fossero sempre garantite e rispettate.

E ad Atena il mito assegna l’invenzione stessa della tessitura, sconosciuta prima di lei.
Nell’Odissea, Omero ci narra di quando i compagni di Ulisse si fermarono davanti alla casa della maga Circe e videro Atena che "cantava e tesseva una grande e immortale tela, come sono i lavori delle dee, sottili e splendenti e graziosi" . 
Questo attributo tipicamente femminile di Atena, perché non collegato né alle sue doti guerriere né a quelle razionali di saggezza e capacità intellettive, mette l’accento sulla capacità che ha la donna che abbia compiuto questo modello divino dentro di sé di esprimere al meglio l’intera gamma del potenziale femminile, anche se non ne è cosciente, anche se riconosce le qualità intellettive come le sue migliori qualità.

Ecco perché la vita sistematicamente la invita ad abbattere quel muro, a lasciare elmo e corazza, anche a farsi ferire, se occorre, perché le ha anche donato l’ostinazione di incontrarsi con la sua totalità, la capacità di ascoltare i bisogni del cuore, rivendicando il diritto all’amore che spetta ad ogni creatura.
Lei lo sa che il suo cuore è la sua più bella qualità, è la capacità di essere vera con se stessa, di capire quando è giusto “continuare a filare e quando stuccare il filo”… e cioè lasciar andare certi atteggiamenti mentali ostinati che non potrebbero più darle alcuna felicità, così come la tessitrice stucca il filo con cui ha tessuto fino a quel momento la tela ed inserisce quello che, per colore e bellezza, appare il più adatto per completare il disegno.

La donna che abbia scelto di attivare il modello della vergine Atena quindi, una volta che si sia resa vulnerabile per esperienze di vita partecipate e trasformanti, è anche riuscita a capire quando sia il tempo di lottare e quando no; quando valga la pena battersi per ciò che l’appassiona e rappresenta una priorità della sua esistenza e quando è necessario invece cogliere altre opportunità che la vita in quel momento le sta offrendo; è riuscita a comprendere quando seguire l’istinto e quando la ragione, quando la testa e quando il cuore, senza dover abdicare ad uno dei due modi di essere ma miscelandoli tra di loro, ma soprattutto è riuscita ad accettare dentro di sé le opposte emozioni che fanno parte dell’animo umano e, non essendosene ritratta, se ne è anche distaccata, padroneggiandole dall’alto come la filatrice padroneggia la tela.
E questo perché ha anche raggiunto un’immagine chiara di ciò che vuole conquistare in quel momento specifico della sua esistenza, di ciò che è prioritario esprimere per la sua felicità, così come la tessitrice ha chiaro dentro di sé in ogni momento come procedere nel suo lavoro per compiere al meglio l’intero disegno.

Gli orientali hanno un detto per cui “ogni particolare del piccolo disegno danza con l’insieme del grande disegno”, il che significa che se la donna riesce a comprendere l’obiettivo che di volta in volta la vita le sottopone, acquista quello sguardo d’insieme che le può garantire la scelta migliore per la sua felicità e non soltanto la felicità di chi le sta a cuore.
Non dimentichiamo infatti che di fronte al Capricorno c’è il segno del Cancro… così come nella donna Atena, accanto alla forza interiore, al senso di responsabilità e serietà nel portare avanti le sue scelte, c’è un immenso cuore… c’è un’immensa capacità di rinuncia, la capacità di anteporre ai suoi bisogni quelli degli altri, per i quali lei si prodiga con attenzione e disponibilità, ma allo stesso tempo la tendenza a ritrarsi quando sarebbe naturale chiedere aiuto per il rispetto della sua felicità.

Prendendo invece consapevolezza della sua totalità, della sua ricchezza interiore, della sua grande capacità di dare, ma anche dei limiti e delle fragilità che comporta l’umana natura, la donna Atena può diventare “la tessitrice della sua vita” e non affidare a nessuno il compito di indicarle la via o di proporle un “disegno” che non sia quello che ha scelto in prima persona.

Ma per fare questo, la donna Atena ha bisogno di rimanere in contatto con la bambina che è dentro di lei e che lei ha confinato nella stanza più buia della sua psiche; la deve riprendere in mano come se prendesse in mano un fiore ed aiutarla ad esprimersi, ad esprimere le sue emozioni senza vergogna e senza paura e con quella dignità che Atena le ha insegnato a non svendere a chicchessia, a lusinghe di nessun tipo, né di bellezza, o di potere, nè di vittoria, di immagine o di riconoscimento.
Nessun archetipo infatti ha tanta dignità quanto l’archetipo Atena. Un mondo emotivo serio e responsabile, che lei deve coltivare con cura e con pazienza come fosse un campo di fiori, irrigandolo di tanto in tanto con l’acqua dei suoi sentimenti, con l’acqua delle sue emozioni, non vergognandosi più delle sue lacrime perché è solo grazie a quest’ “acqua” rigeneratrice e pacificatrice che lei potrà far crescere in quel campo il fiore più bello.

Non è un percorso facile questo… è irto di rovi, ci si ferisce continuamente, ma è l’unico cammino che può dare alla donna la consapevolezza del proprio valore femminile e cioè una persona che dopo aver lavorato su di sé, sia riuscita a mediare tra la ragione ed il cuore, tra la ragione e l’istinto perché, pur non sottraendosi ad una vita di intensità e profondità affettiva, ha imparato a perdonare se stessa, ha imparato a volersi bene, a stemperare le sue rigidità e ad integrare gli opposti psichici come “tessendoli su di una tela”, col risultato di rimanere lucida anche nel bel mezzo di una tempesta emotiva ed attingere da questa sua ritrovata forza e maturità le potenzialità e le risorse che le permetteranno di risolvere al meglio il qui ed ora dell’esperienza che la vita le sta proponendo.
Ma soprattutto ha imparato a darsi importanza, riconoscendo le sue molte qualità al di là del riconoscimento del mondo maschile, che non sarà più lo specchio con cui confrontarsi o da sfidare per dimostrare le sue qualità, visto che le sue qualità di donna non deve dimostrarle a nessuno, perché sono lì come il miracolo d’amore di cui lei è ricca e capace.

Recuperando la stima nel suo essere donna e nel potenziale femminile, credendo nella possibilità di infrangere una tradizione di secoli che vuole assegnarle un ruolo subalterno rispetto al potere maschile, lei potrà iniziare a scambiare con l’uomo senza rivalsa ma in parità, perché attingerà le sue risorse non dalla parte maschile della sua natura, ma da quella femminile, quella che è in contatto con la sua Anima, col suo cuore, col suo stesso “essere donna”.

Un cammino doloroso ed irto di spine, per il quale è richiesto coraggio ed amor di sè, perché gli unici in grado di portare la donna a riconoscere che è affidata a lei e a lei soltanto, è affidata alla sua sensibilità, alle sue capacità intuitive e di buon senso, la possibilità di comprendere intimamente il mistero della vita; che è affidata a lei la capacità di amare, di perdonare e collaborare così per un ritorno ai veri valori. In un momento di oscuramento delle coscienze e di sopraffazione collettiva, è di fondamentale importanza che la donna prenda consapevolezza dell’importanza dell’unico ruolo in cui sarà necessario identificarsi: quello di guida luminosa ed amorevole nel percorso di crescita non solo individuale, ma indispensabile a tutta l’umanità.

Tratto da http://www.eridanoschool.it/articoli/articoli_di_astrologia_eridanoschool.asp?Id=182