venerdì 30 ottobre 2015

Il Blu Alchemico

Fuochi blu

Il passaggio dal nero al bianco si compie talora attraverso una gamma di       altri colori, i blu più scuri in particolare, i blu dei lividi, della       sobrietà e dell’esame di coscienza puritano, i blues dello slow jazz.       Il colore dell’argento non era soltanto il bianco, ma anche il blu: Ruland       elenca 27 tipi di argento dal colore blu e Norton scrive che «l’argento si       può agevolmente trasformare nel colore della lazulite, perché… insita       nell’argento, prodotto dall’aria, è la tendenza ad assomigliarsi al colore       del cielo». È di tale forza l’associazione del blu con l’argento e con l’imbiancamento,       che persino la chimica moderna, nel discutere la testimonianza alchemica (l’originarsi       di un pigmento blu dall’argento trattato con il sale, l’aceto, eccetera),       ritiene che gli alchimisti avessero una qualche giustificazione fisica a       noi ignota, a conferma di quanto asserivano.       Ma tale asserzione non si fonda piuttosto sulla fantasia?

Sull’argento sofico di un’immaginazione imbiancata che sa       che nell’inargentarsi il blu è presente, e quindi lo vede?       La fase blu che separa il bianco dal nero assomiglia alla tristezza che       emerge dalla disperazione nel suo procedere verso la riflessione.       Riflessione che proviene da una distanza blu, o in essa anche ci       introduce, non tanto come un nostro atto di concentrazione, ma come       qualcosa che in noi si insinua quale una fredda, isolante inibizione.       Questo ritrarsi verticale assomiglia anche a uno svuotarsi, al crearsi di       una “capacità” di accoglienza, o di un ascolto profondo – già un presagio       dell’argento.       Sono queste le esperienze che Goethe associa al blu: «Il blu reca ancora       con sé un principio di oscurità… è potente, come colore, ma appartiene       alla serie negativa, e nella sua purezza più elevata è quasi una negazione       stimolante… una sorta di contraddizione tra eccitazione e riposo. Come       ci appaiono blu il cielo in alto e i monti più lontani, così una       superficie blu sembra allontanarsi da noi… ci trascina al suo seguito.       Il blu ci da un’impressione di freddo e quindi, ancora, ci fa memori       dell’ombra. Abbiamo già parlato della sua affinità col nero. Le stanze       dipinte di blu puro sembrano in qualche misura più larghe, ma al tempo       stesso vuote e fredde… gli oggetti visti attraverso un vetro blu (sono)       lugubri e melanconici». Ma la tristezza non è tutta del blu: anche un tumultuoso dissolversi della       nigredo può mostrarsi attraverso “blue movies” (film pornografici), “blue       language” (linguaggio blasfemo), nell’amour bleu, nei barbablù, nelle       “blue murder” (minacce di carneficina), e nel corpo cianotico. Quando       insorgono fantasie Animus-Anima di questo genere, perverso, pornografico,       agghiacciante o vizioso, è all’interno della transizione del blu verso       l’albedo che possiamo situarle; potremo allora cercare tracce d’argento       nella violenza, perché vi sono modi di riconoscersi che prendono forma       nell’orrore e nell’oscenità.       La putrefactio dell’anima genera una nuova coscienza animica, un       radicamento psichico che deve includere esperienze infere proprie di       Anima, le sue affinità con il perverso e la morte.       Il blu scuro del manto della Madonna genera molte ombre, e sono quelle che       le danno profondità di comprensione; proprio come la mente formata sulla       Luna è vissuta con Lilith, cosicché il suo pensiero non può mai essere       ingenuo, non può cessare mai di sprofondare verso le ombre.       Il blu protegge il bianco dall’ingenuità.       Come Jung afferma, la direzione verticale è associata al blu per       tradizione. Le antiche parole greche per il blu servivano anche a       designare il mare; in Tertulliano e in Isidoro di Siviglia il blu si       riferiva sia al mare sia al cielo, analogamente alla parola greca (bathun)       e a quella latina (altus), che implicavano l’alto e il profondo in una       sola parola.       La dimensione verticale come gerarchia persiste nel nostro linguaggio, nel       sangue blu per la nobiltà, nei nastri azzurri delle premiazioni, e in       molte immagini mitologiche di “dèi blu”: Kneph d’Egitto, le vesti blu di       Odino, Giove e Giunone, Krishna e Vishnu, Cristo nel suo ministero terreno,       come il Cristo-Uomo blu visto da Hildegard di Bingen.       Il passaggio dal nero al bianco attraverso il blu implica che il blu porti       sempre il nero con sé. (Fra i popoli africani, per esempio, il nero       include il blu, mentre nella tradizione giudaico-cristiana il blu       appartiene piuttosto al bianco). Il blu porta nell’imbiancamento tracce di       mortifìcatio. Quel che era prima la vischiosità del nero, quale catrame o       pece da cui era impossibile liberarsi, si trasforma ora nelle virtù       tradizionalmente blu della costanza e della fedeltà; gli stessi eventi       foschi appaiono diversi, e gli aspetti tormentati e sintomatici della       mortificazione – lo scorticarsi, la frantumazione di vecchie strutture, la       decapitazione di volontà caparbie, i topi e il marciume della propria       cantina personale – cedono il passo alla depressione.       Come il blu, perfino il più scuro, non è nero, così la depressione, anche       la più profonda, non è la mortifìcatio che significa morte dell’anima. La       mortifìcatio è più spinta: le immagini sono compulsivamente imprigionate       nel comportamento, la visibilità è zero, la psiche è intrappolata       nell’inerzia e nell’estendersi della materia.

Picasso, periodo blu

Picasso, periodo blu

Una mortifìcatio è un tempo       di sintomi. Queste torture della psiche nella physis, inesplicabili e       totalmente materializzate, vengono mitigate, in accordo con la sequenza       dei colori, da un moto verso la malinconia, che può aver inizio con un       rimpianto dolente perfino del sintomo perduto: «Era meglio quando stavo       male fisicamente – ora posso soltanto piangere». Estrema infelicità (“       blue misery”).       Così con l’apparire del blu il sentimento diventa sovrano e il sentimento       sovrano è il lamento dolente (Rimbaud equipara il blu alla vocale “O”, e       Kandinsky al suono del flauto, del violoncello, del contrabbasso e       dell’organo).       Sono lamenti che portano tracce dell’anima, del suo riflettere e       distanziare attraverso l’espressione immaginativa. Qui è più facile capire       perché la psicologia archetipale abbia eletto la depressione a via regia       del “fare anima”: gli esercizi ascetici che chiamiamo “sintomi” (e il loro       “trattamento”), la disperazione per la colpa e il rimorso, in quanto       decomposizioni della nigredo, trasformano la vecchia personalità dell’Io “riducendola”;       ma questa necessaria riduzione è solo preparatoria al senso d’anima, il       cui primo apparire è appunto nell’immaginazione venata di blu della       depressione.       Possiamo dire che il blu sia il prodotto di una collaborazione fra Saturno       e Venere. Secondo Giacinto Gimma – un gemmologo settecentesco – il blu       rappresenta Venere, mentre il capro, l’emblema saturnino del Capricorno, è       l’animale del blu; e il Capricorno, come ricorderete, si estende       lentamente dalle profondità alle altezze: immensa distanza e immensa       pazienza. Nel recare a Venere una malinconia più profonda e nell’indurre       magnanimità in Saturno (un’altra virtù del blu, secondo Gimma), il blu       rallenta anche il passo del bianco, perché è il colore del riposo (Kandinsky)       e quindi il fattore ritardante nell’imbiancamento.       È l’elemento della depressione che suscita dubbi profondi e principi       elevati, che vuol dare alle cose un ordine di fondo e definirle per       renderle chiare.       Questo effetto del blu sul bianco può manifestarsi in sentimenti di       servizio, in operosità e disciplinata osservanza delle norme, o in certi       simboli civici convenzionali che taluni di questi sentimenti potrebbero       assumere, come la Croce Blu, i “blue collars” e le tute blu. Lo stesso       effetto può anche manifestarsi nei sensi di colpa e negli scrupoli di       coscienza.       Vi è infatti un “aspetto morale nell’imbiancamento” – e penso che proprio       questo sia l’effetto del blu. L’imbiancamento non implica un venir meno       dell’Ombra, né un prenderne coscienza; per me significa invece un più       vasto spazio per sostenere le sue altezze e le sue profondità, la sua       intera dimensione. L’anima si fa più bianca perché l’Ombra è uscita dal       rimosso e si è diffusa nelle diverse ramificazioni della coscienza; come i       blu che infondono la profondità dell’ombra e la precisione del corpo nei       dipinti a olio, come la goccia blu che fa più bianco il bucato.       La peculiarità dell’ombreggiatura dipende dalla proporzione bianco/nero:        «Se il nero supera il bianco di un grado, ne risulta un colore blu-cielo».        Quanto più nero c’è tanto più scuro è il blu; e anche quelle celestiali       aspirazioni, che come lampi azzurri corrono nel lontano blu selvaggio,       portano un po’ di oscurità, una goccia di putrefazione, una grazia       salvatrice di depressione nella loro speranza; e la grazia salvatrice del       celeste (“light blu”) di Maria sta forse proprio in quel suo “grado di       nerezza”.       Secondo me, la definizione junghiana del blu, come “funzione di pensiero”       si connette all’antica associazione del blu con le profondità impersonali       del mare e del cielo, con la sapienza di Sophia, con la filosofia morale e       la verità. Le immagini dipinte di blu, dice lo pseudo- Dionigi «mostrano       la segreta profondità della loro natura»: il blu è «oscurità resa visibile». Questa profondità è una qualità della mente, un potere invisibile che       permea ogni cosa, come l’aria – e il blu è il colore dell’elemento aereo,       come l’Alberti scrive nella sua grande opera Della Pittura. Quando i blu       più scuri si presentano in analisi, io mi preparo, prevedendo che ci       attendano ora le altezze e le profondità di Animus e Anima, o dell’Animus       dell’Anima, come talora lo chiamano gli junghiani. (Sapevate che       “blue-stocking” significava donna colta, che “blueism” significava “il       possesso o l’ostentazione di cultura in una donna”, e che il semplice       termine “blue” significava un tempo “amante della letteratura”?).       Questi blu scuri sono inflazioni dell’impersonale, del nascosto; ma non       sono euforici nella loro inflazione, si presentano invece come ponderosi       pensieri filosofici, giudizi sul bene e sul male, e sul luogo della verità       in analisi. E tuttavia quel che sembra, e in effetti è, così profondo, in       realtà è distaccato e lontano dalle cose immediate.

Chagall

Chagall

      Ciò di cui stiamo parlando «sembra allontanarsi da noi» e «trascinarci al       suo seguito» (Goethe), con i modi seducenti di Anima.       Ricordare che l’Animus dell’Anima è uno spirito psichico che cerca di       illuminare l’anima, sprofondandola o innalzandola verso le verità       impersonali, mi aiuta a meglio destreggiarmi in queste sedute analitiche;       sono arrivato a capire, grazie a Goethe, che in questi colloqui blu-scuro       di “negazione stimolante” (pensieri negativi dell’Animus, giudizi negativi       dell’Anima), è riposto un tentativo di ricerca dell’anima. È un’opera di       distanziamento e di distacco (Goethe) che si va compiendo, uno sforzo di       riflessione che è tuttora intriso di nigredo, perché scava troppo in       profondità e preme troppo forte, trascurando le superfici immediate da cui       l’argento trae la sua luce; e tuttavia quelle stesse “negatività”, che       ossessionano a tal punto la riflessione con fosche intuizioni e “ruminazioni”       depressive, dilatano lo spazio psichico svuotando la stanza (Goethe) delle       sue precedenti strutture.       Quando l’anima tenta di aprirsi una via di uscita dall’oscurità,       attraverso faticose meditazioni filosofiche, ha luogo allora       l’imbiancamento: l’Animus è al servizio dell’Anima.       Persino la negatività dell’umore e della critica, e il mio stesso ritrarmi,       che avverto durante questi esercizi, appartengono a questo percorso blu       verso il bianco. La nigredo non ha termine in un’esplosione o in un       piagnucolio, ma impercettibilmente passa nel soffio dell’anima (anima) con       un sospiro.       Ci può essere di aiuto ricordare un’immagine di Rabbi ben Jochai riportata       da Scholem: la fiamma ascendente è bianca, ma proprio alla sua base, come       un piedistallo, vi è una luce blu nera la cui natura è distruttiva. La       fiamma blu nera attira le cose e le consuma, mentre il biancore continua a       fiammeggiare al di sopra. Il blu distruttivo e il bianco sono racchiusi       nello stesso fuoco, ed è in virtù della sua stessa inerenza alla nigredo -       commenta Scholem – che la fiamma blu può consumare l’oscurità di cui si       nutre.       Gli aspetti che siamo andati scoprendo in questa amplificazione mettono in       rilievo l’importanza del blu nel processo alchemico. Qualcosa di       essenziale andrebbe perduto se l’apparire del bianco non fosse che il       risultato di una liberazione dall’oscurità; qualcosa deve incorporare       nell’albedo una risonanza, una fedeltà a quel che è accaduto, e       trasmetterne la sofferenza con un’altra sfumatura: non più come dolore       lancinante, come decomposizione o come memoria della depressione, ma come       valore.       Il valore fa parte della fenomenologia dell’argento: il senso del valore       delle realtà psichiche non si genera soltanto dal sollievo alla più nera       disperazione. È proprio il blu che da valore al bianco, nei modi che       abbiamo indicato, e specialmente con l’introdurre preoccupazioni di ordine       morale, intellettuale e religioso; così portando alla mente imbiancata una       capacità di valutare le immagini, di dedicarvisi con devozione, e un senso       della loro verità, invece di riflettere semplicemente lo spettacolo che       offrono considerandolo una fantasia.       È il blu che da profondità all’idea di riflessione, al di là della sola       nozione del rispecchiarsi, inducendola verso nozioni ulteriori, quali il       ponderare, il considerare, il meditare. Si dice che i colori che       annunciano il bianco siano quelli dell’iride e dell’arcobaleno, quelli dei       “multi flores”, e soprattutto quelli che risplendono nella coda del pavone       con i suoi molteplici occhi.       Secondo Paracelso i colori sono il risultato di un prosciugarsi       dell’umidità: lo si creda o no, c’è più colore nel deserto alchemico che       nell’inondazione, più dove l’emozione è minore che dov’è maggiore.       L’inaridirsi libera l’anima dal soggettivismo personale e, man mano che       l’umidità si ritrae, quella vivacità un tempo posseduta dal sentimento può       ora oltrepassarlo, per riversarsi nell’immaginazione – dove il blu è       d’importanza straordinaria, perché è il colore dell’immaginazione tout       court.       Per fondare questa apodissi non mi limito a quel che finora abbiamo       esplorato – l’umor malinconico (“blue mood”) che favorisce il fantasticare,       il cielo azzurro (“bluesky”) che suscita l’immaginazione mitica       chiamandola alle mete più distanti, il celeste di Maria, epitome       occidentale dell’Anima, e la sua funzione di stimolo nel “fare immagine”,       la rosa blu del romanzo, un pothos che si strugge per ciò che è       impossibile, contra naturam (e pothos, il fiore, era una consolida reale       blu, o delphinium, posata sulle tombe).

da “Blu alchemico e unio mentalis” di James Hillman


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